2022, l’ibrido e l’obbligo

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Nell’anno appena trascorso, il retail mondiale ha continuato a crescere, a velocità diverse, in un contesto di grave incertezza. 

Costi dell’energia, pressione inflazionistica, irrigidimento delle politiche monetarie, trasformazione delle reti di produzione e fornitura, emergenze ambientali e sociali e, naturalmente, la guerra in Europa sono lo sfondo indesiderato al commercio globale post-pandemico. Gli esiti della competizione sul mercato appaiono legati a doppio filo alla profondità e alla tempestività delle innovazioni tecnologiche, unico tramite certo alla gestione della precarietà e ai nuovi modelli di distribuzione ibrida e sostenibile.

Il retail nel 2022

I numeri del 2022 avranno bisogno di un po’ di tempo ancora, prima di passare in archivio nel loro valore definitivo. Confrontando le proiezioni degli analisti di mercato, però, è possibile una previsione già attendibile dei volumi del retail internazionale.

Nell’anno in chiusura, le vendite al dettaglio globali dovrebbero attestarsi intorno ai 27 trilioni di dollari¹ (erano 23,7 nel 2020) con un incremento di poco inferiore al 5% sull’anno precedente. Crescita superiore alle aspettative manifestate nei primi mesi, pur se rapportata all’impennata registrata tra il 2020 e il 2021, quando il tasso di crescita aveva sfiorato il 10%. A beneficiarne, soprattutto, le aree a più alto potenziale di sviluppo: Medio Oriente e Africa, con tassi di crescita fino al 16% complessivo, Sud-Est asiatico al 9%, la regione Asia-Pacifico e  l’America Latina tra il 5% e il 6%. Europa Occidentale e Nord America invece, si posizioneranno intorno ai due punti e mezzo di crescita². Nel 2023, la crescita globale dovrebbe aggirarsi intorno al 4%, con una leggera decelerazione.

Il commercio digitale sta subendo un rallentamento fisiologico e prevedibile, da considerarsi in relazione alle eccezionali fortune date dall’emergenza sanitaria, ma continua a crescere.  Il valore previsto, nel 2022, è di 5,7 trilioni di dollari (erano 5,2 nel 2021 e 4,2 nel 2020). Il tasso di conversione medio dei siti commerciali di tutti i settori è in sensibile aumento, come l’incidenza sui valori del retail globale. Ma, come vedremo, i problemi non sono pochi né piccoli.

Italia 2022

I dati più recenti sulla distribuzione nel nostro paese trovano la sintesi nell’ultima nota informativa di ISTAT, rilasciata il 7 dicembre. A ottobre 2022, mentre le vendite in volume si sono contratte del 6,3%il valore complessivo del commercio al dettaglio ha continuato a crescere per il ventesimo mese consecutivo, guadagnando l’1,3% sullo stesso mese del 2021. I primi dieci mesi del 2022 denotano, a parità di periodo sul 2021, una crescita complessiva del 4,8%. La GDO è aumentata del 3,4%, la piccola distribuzione è diminuita dell’1,4%, le vendite online sono aumentate del 6,2%.

La forma del cambiamento

Le tendenze di fondo del mercato si sono delineate con chiarezza nel corso dell’anno. Se ogni comparto del mercato e della società civile sta facendo proprie le prerogative dell’immediatezza e dell’interconnessione, nel retail il carattere del cambiamento è ancora più marcato, superando linee di demarcazione fino a ieri insuperabili. È un progresso costante, svincolato dagli equivoci che rischiano di confondere la corretta percezione del presente e del futuro.

La ristrutturazione del retail americano, nel decennio precedente (e non ancora conclusa), era stata denominata apocalypse, per i drammatici effetti sofferti dal settore, fino alla scomparsa di alcuni brand di grande richiamo. Al lungo elenco di vittime illustri della mancata innovazione, si era associato il convincimento diffuso che l’eCommerce fosse la canna fumante della pistola e che, soprattutto, andasse inteso come fatto a sé, diverso e rigidamente alternativo alla vendita fisica. Multicanalità e omnicanalità, pur se puntuali risposte alle necessità della nuova competizione, comprendono ancora in sé il potenziale equivoco. Come parlare di e-pocalypse, del resto, intendendo implicitamente il ribaltamento di una pratica commerciale a favore di un’altra, digitale, o il semplice riequilibrio tra queste.

Oggi, più di due terzi dei marchi competono sulla customer experience, il doppio di quelli che concorrono sul prezzo o sul prodotto. Questa premessa è fondamentale alla comprensione del settore e all’inevitabile orientamento al retail ibrido. Recentemente, un rapporto di Forrester ha previsto che, negli Stati Uniti, le vendite al dettaglio influenzate dal digitale cresceranno da 2,7 trilioni di dollari nel 2022 a 3,8 trilioni di dollari nel 2027. Un dato in più, a conferma di quanto sia opportuno deviare dalla semplice prospettiva del canale, per mirare a una strategia di distribuzione unitaria e ibrida.

Il retail ibrido

Pur se i due termini, spesso, sono usati come sinonimi, il retail omnicanale è diverso dal retail ibrido. Il primo rende il marchio disponibile ai clienti su tutti i canali e i dispositivi, ma non offre necessariamente un’esperienza unitaria d’acquisto. Il secondo, invece, considera primaria l’offerta della migliore esperienza ai clienti, creando valore da applicare, poi, a ogni punto di contatto, indipendentemente dalle caratteristiche di questo.

A chi ha seguito le cronache del retail nel 2022, sarà chiaro che la caratterizzazione ibrida del settore, oltre i canali, è una prospettiva certa, già concreta nell’operatività dei brand più consapevoli, e in un contesto di mercato dove il negozio, a dispetto dei superficiali de profundis ripetuti negli anni, ha ritrovato vigore.

Il modello di business basato sull’eCommerce puro, del resto, sta progressivamente perdendo terreno, soprattutto nel segmento consumer. Nelle rilevazioni di McKinsey, un campione di società di eCommerce nordamericane ha sofferto un calo medio superiore al 10% in Ev/Ebitda, dal 2018 al 2022. I costi di acquisizione dei clienti, in generale, sono aumentati in media del 60% negli ultimi cinque anni: l’evasione dell’ordine, in particolare, può arrivare a incidere tra il 12 e il 20% dei ricavi. Il problema dei resi si è accentuato in tutta evidenza: nei casi estremi, il volume può arrivare al 40% degli ordini online, e questo comporta costi di logistica inversa e di operatività necessaria alla riconfigurazione degli stock con la merce restituita.

La decisione di Paypal, nel novembre scorso, è un indicatore attendibile del momento. Secondo Tribe, uno dei più importanti soggetti europei nel campo dei pagamenti digitali, il 40% degli operatori pure eCommerce aprirà negozi fisici nei prossimi tre anni.

Innovazione e inciampi

La competizione, d’altronde, è resa più difficile e complessa dal fatto che la customer experience non è un oggetto definito, ma un insieme di azioni in passi diversi del customer journey su cui, spesso, non basta disporre di un’analisi più approfondita dei dati per individuare e superare i punti ciechi. Non sono definiti, né potrebbero esserlo, neppure i parametri della trasformazione digitale entro cui si colloca il retail ibrido. L’innovazione tecnologica è continua e costante (pur se registra un consistente ritardo europeo) ma non lineare e, a volte, imprevedibile in certi suoi risultati.

A questo proposito, va detto che l’orizzonte tecnologico del 2022 si è sovraccaricato di nubi. Non è la tendenza generale a essere messa in discussione, (nel suo Technology Report annuale, Bain quantificava le aspettative di crescita del budget IT nel mondo, dall’aprile 2020 al maggio 2022, dal 44% al 75% nel 2021 e, poi, al 90%), ma non sono mancati gli inciampi nel percorso. Già a ottobre, sette giganti della tecnologia, tra cui Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google, più Tesla, avevano accusato una perdita complessiva di valore di 3.000 miliardi di dollari. Il 9 novembre, poi, Bloomberg riportava il calo azionario di Amazon da 1.880 miliardi di dollari a 879. “Botta”, di portata appena inferiore, anche per Microsoft.

Se, per il retail, il metaverso è sempre all’ordine del giorno (e del possibile contrordine, naturalmente, in attesa di capirne i ritorni reali), sia nel disegno delle strategie che negli investimenti dei brand, la bolla dei Non-Fungible Tokens (NFT), gli oggetti digitali unici e con un unico proprietario, è esemplificativa dell’instabilità del contesto. Nel gennaio 2022 gli scambi di NFT avevano toccato quota 17 miliardi di dollari, a novembre questa era scesa a 400 milioni, il 97% in meno.

L’obbligo

Qualsiasi considerazione su come fare retail non può prescindere da ciò che, fino a qualche tempo fa, era un semplice orientamento e, in quest’ultimo 2022, si è ulteriormente consolidato come obbligo. Ci riferiamo ai principi ambientali, sociali e di governance (ESG), che devono informare non solo la politica commerciale, in risposta a una domanda sempre più qualificata e pressante, ma la natura stessa del retailer e, di conseguenza, la sua relazione con il mercato.

La trasformazione digitale ha conferito al cliente la facoltà di giudicare il brand, prima ancora del prodotto e delle condizioni di vendita. Oltre all’assortimento, al prezzo e al servizio, per chi compra è importante l’affinità con chi vende. Ciò che chiamiamo “purpose, quindi, è l’azione subordinata alla visione chiara dei propri valori e delle responsabilità implicite. Da qui, inizia la corsia preferenziale di accesso all’offerta.

Il tema, peraltro, non può essere tratto unilateralmente: anche la domanda dovrà sviluppare una maturità ulteriore, aumentando la consapevolezza di sé e dei bisogni comuni e trasversali. I vantaggi e le comodità dell’eCommerce e del food delivery sono chiari a tutti, ma non si dovranno ignorare i costi ambientali e sociali che comportano, con un flusso di merci e di trasporti sproporzionato al vantaggio oggettivo del cliente e penalizzante per chi lavora a soddisfarne le richieste.

Servirsi della ricchezza tecnologica a disposizione per costruire modelli alternativi di produttività e di redditività sociale: il senso della competizione, e la sicurezza di poterla reggere, andranno trovati qui. Nel 2023, e oltre.

¹ Stime Statista
² Stime eMarketer

 

(a cura di Michele Caprini, Gruppo Retex)

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