Online e offline: gemelli diversi destinati a incontrarsi

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Online e offline non devono essere linee parallele bensì gemelli diversi che si attraggono, imparano uno dall’altro e spesso si incontrano.

Tra le parole più usate degli ultimi anni ci sono multicanalità e omnicanalità, in italiano o, più spesso, in inglese, multichannel e omnichannel. Il riferimento è alla distribuzione e vendita di abbigliamento e accessori, ma anche di ogni altro prodotto che, prima della rivoluzione digitale, eravamo abituati a comprare solo in uno spazio fisico: di quartiere o di una grande catena, ai quali si affiancavano department store (che in Italia per molti anni abbiamo chiamato grandi magazzini), outlet, ipermercati, mercati di quartiere e, nella moda, monomarca dei singoli brand o multimarca. Fino all’inizio degli anni 2000 a dominare in modo pressoché assoluto è stato il canale fisico, con un’ancella, in alcuni Paesi, le vendite per catalogo (che - bizzarrie della storia microeconomica - stanno conoscendo una nuova giovinezza: in Italia è in fase di rilancio Postalmarket, ad esempio, ma con un modello rivisto, appunto, in ottica digitale). Ricordiamo che la nascita di Amazon risale al 1994, ma che ci volle qualche anno perché il sito diventasse famoso in America e all’estero e soprattutto perché da libreria online diventasse un gran bazaar online.

La crescita dei canali

Con internet è cambiato tutto e i canali sono diventati, per i consumatori, due: fisico e digitale. Per le aziende e i marchi in realtà sono passati da due a tre, perché il canale fisico per molti era sempre stato fatto da due componenti: i negozi a insegna propria e quasi sempre a gestione diretta e quelli (multimarca) che vendono più di un marchio (canale definito wholesale). Da qui la necessità dei neologismo omnicanalità: per avere successo, ogni marchio, negli ultimi vent’anni, ha investito sia sui luoghi fisici di vendita sia su quelli virtuali (che a loro volta si sono presto divisi in negozi online monomarca e multimarca, più frequentemente definiti piattaforme o marketplace). Non solo: i social network, da strumento di promozione, marketing e comunicazione, stanno diventando qualcosa di più e ovviamente c’è un neologismo anche per questo, social shopping, cioè acquisti pressoché diretti dal social network, Instagram in primis. 

Anche la comunicazione diventa ibrida

Nella moda, l’osmosi tra online e offline riguarda sempre di più anche le presentazioni in showroom, le sfilate, la comunicazione. L’ecosistema in cui si muovono i marchi sta diventando sempre più complesso (di recente si è aggiunto - e vedremo che futuro avrà - il metaverso), ma come ogni ecosistema che si rispetti, niente al suo interno può essere un compartimento stagno.

Verso un’omnicanalità interattiva

La vera sfida non è avere una forte presenza in entrambi gli universi, reale e digitale. Lo si è capito in particolare negli ultimi anni, anche per l’impennata di acquisti online durante i lockdown e la conseguente impennata di vendite nei negozi fisici appena sono stati riaperti. Online e offline non devono essere linee parallele bensì, diciamo, gemelli diversi che in qualche modo si attraggono, imparano uno dall’altro e spesso si incontrano. Di fatto non esistono più retailer fisici puri né retailer online puri. I due gemelli stanno superando ogni reciproca diffidenza e quasi ogni giorno ci sono notizie di accordi, iniziative, eventi, concepiti in una logica di “omnicanalità interattiva” o proattiva, per usare un altro termine molto diffuso, non bellissimo, ma efficace. Tutto nel nome del business, ovviamente: è chiaro che comprare online è comodo e veloce e che l’assortimento può essere esponenzialmente più ampio di quello del più grande dei department store. Ma è altrettanto chiaro che nulla - finché vivremo nei nostri corpi e non diventeremo ologrammi o Nft - può sostituire un’esperienza fisica di acquisto.

(articolo completo a cura di Giulia Crivelli, Il Sole 24 Ore)

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