I big della moda oltre la crisi grazie all’online

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Per le grandi aziende italiane della moda la crescita dovrebbe attestarsi al +22% nel 2021 ma per un ritorno ai livelli pre-Covid occorre attendere il 2022. 

Per le multinazionali della moda il 2021 è già l’anno della ripresa, tanto che, in media, hanno superato i i livelli pre-crisi di 10 punti percentuali. Ma se è vero che nel loro caso il recupero è stato più repentino, in generale, il sistema moda mondiale ha di fatto messo a segno un rimbalzo significativo, del 32%, del giro d’affari nei primi nove mesi e una crescita del 28% attesa per l’intero anno, avvicinandosi quindi ai livelli pre-pandemia. Una ripresa trainata dal boost dell’e-commerce, arrivato in media a pesare circa un quarto del giro d’affari complessivo. È la fotografia scattata dall’ultimo report Mediobanca sul sistema moda che aggrega i dati finanziari di 70 multinazionali della moda e delle 134 grandi player italiani del fashion. 

E l’Italia? Per le grandi aziende italiane della moda, ovvero società con un fatturato superiore a 100 milioni di euro la crescita dovrebbe attestarsi al +22% nel 2021, ma per parlare di un ritorno ai livelli pre-Covid occorre attendere il 2022. Nel nostro Paese, culla della manifattura di alto livello, la pandemia si è fatta sentire in modo deciso: nel 2020 le grandi aziende hanno subìto un duro contraccolpo, registrando un giro d’affari totale di 49,8 miliardi di euro, in contrazione del -22,8% sul 2019 e del -9,7% sul 2016. Il tessile è il settore che ha registrato un calo maggiore (-34,6%), mentre la gioielleria il minore (-19,8%) ma entrambi si sono messi in luce per la redditività (ebit margin per la gioielleria del 6,9% e per il tessile del 3,2%).

Il report fa i conti anche sul peso della presenza straniera in Italia. Secondo il documento, 59 delle 134 grandi aziende del fashion italiane hanno una proprietà straniera che controlla il 38,5% del fatturato aggregato (il 19,1% è francese, fra cui Kering con l’8,7% e Lvmh con il 6,4%). “L’impatto della crisi – si legge – è stato più evidente per le imprese a controllo italiano rispetto a quelle a controllo estero: sia in termini di ridimensionamento del giro d’affari (-23,3% vs -22,0%), sia in termini di contrazione della reddività (-6,5 punti percentuali contro -5,0 punti percentuali di ebit margin), pur rimanendo lievemente più profittevoli le prime (ebit margin all’1,9% vs 1,7%)”. Inoltre, mediamente, oltre un quarto dei fornitori dei gruppi europei della moda ha sede in Italia, con picchi di oltre l’80% nella fascia alta del mercato.

Nella top 20 del nostro Paese al primo posto è Prada con 2,4 miliardi di fatturato nel 2020, seguito da Luxottica group con 2,12. Seguono Calzedonia con 1,9  miliardi, Giorgio Armani con 1,6, Moncler con 1,4, Otb (Diesel) con 1,3, Max Mara Fashion Group con 1,2, Decathlon Italia con 1,1, Gucci logistica con 1,1 e Ovs con 1 miliardo circa.

Estendendo lo sguardo al panorama mondiale del fashion, a livello di vendite nei primi nove mesi il mercato europeo ha spinto meno (+25%), penalizzato dagli ancora limitati flussi turistici, mentre quello asiatico ha visto un’accelerazione sulla scia della Cina (+38% escludendo il Giappone), insieme con quello americano (+37%, trainato dagli Stati Uniti).

Secondo lo studio, oltre alla ripresa delle vendite offline, è l’online a 2021 a imprimere una svolta sostanziale al cambio di marcia. Rispetto al 2020 l’e-commerce è cresciuto del 25% (il dato si accompagna all’incremento del 60% registrato nel 2020) raggiungendo appunto una quota superiore al quarto del giro d’affari complessivo (quota generalmente più elevata per i gruppi statunitensi rispetto a quelli europei).

Il report fornisce un confronto dettagliato con il 2020. Nell’anno dei lockdown e dello stop completo a viaggi e turismo i 70 maggiori player mondiali (con ricavi superiori a 1 miliardo) hanno fatturato 379 miliardi con un calo del 13,8% sul 2019. Il calo del 2020 ha fatto arretrare i ricavi delle multinazionali della moda di tre anni fino ai livelli del 2017. La classifica delle multinazionali vede in testa il polo francese del lusso Lvmh con 44,7 miliardi. Seguono Nike (36,3 miliardi di euro), Inditex (20,4 miliardi di euro), la tedesca Adidas (19,8 miliardi), la svedese H&M (18,6 miliardi), la giapponese Fast Retailing (15,9 miliardi) ed EssilorLuxottica (14,4 miliardi).

Ancora lontano il fenomeno del reshoring. Relativamente alla supply chain, dai bilanci di sostenibilità emerge che i fornitori dei maggiori player mondiali del fashion sono localizzati per il 61% in Asia, per il 28% in Europa e per l’8% in Nord America, con punte di oltre il 90% in Asia per il fast fashion e l’abbigliamento e calzature sportive.

Infine, lo studio mette in luce anche gli sforzi dei player mondiali sul fronte della sostenibilità, segmento nel quale sta aumentando l’attenzione da parte dei big della moda. Secondo quanto riportato da Mediobanca, sono “mediamente più sostenibili i gruppi statunitensi rispetto a quelli europei e asiatici: relativamente all’utilizzo di energia rinnovabile, i gruppi europei si posizionano meglio degli statunitensi, attingendo da fonti green il 67,5% del proprio fabbisogno energetico rispetto al 48,9% degli americani”.

(a cura di Milena Bello, PambiancoNews.com)

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