Da Fendi e Cartier le migliori “shopping experience” online

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Vince chi punta sull’accuratezza, anche di pacchi ed e-mail. A finire sotto la lente sono stati i punti di contatto “fisico” con il cliente e quelli “digitali”.

«Gli ultimi saranno i primi» è un’affermazione che può funzionare anche nel lusso, specie nelle sue declinazioni digitali. Infatti, i brand che stanno lanciando ora il loro e-commerce, benché in ritardo rispetto a colleghi “pionieri”, sono molto avvantaggiati dall’esperienza, dai successi e dagli errori degli altri. E il loro ritardo si traduce così in un asset vincente. A dimostrarlo è un interessante report che ha analizzato le performance legate all’e-commerce di 29 brand del lusso, fra i quali quattro e-tailer “puri”. Un report sui generis perché interamente empirico, nel senso che i ricercatori hanno davvero fatto un’esperienza di acquisto online nelle 29 e-boutique, comprando dall’Italia e da tutti i brand gli stessi prodotti, un portafogli in pelle maschile e una cintura femminile, per poi renderli.

A finire sotto la lente sono stati i punti di contatto “fisico” con il cliente (dal packaging esterno e interno ai documenti che accompagnano il pacco) e quelli “digitali” (il processo di acquisto, le comunicazioni a seguire e quelle relative al reso): il migliore nella prima categoria (e in assoluto) è stato Fendi, appunto uno dei brand che ha lanciato l’e-commerce solo la scorsa primavera, seguito da Cartier – che beneficia dell’appartenere allo stesso gruppo di Ynap, Richemont – e Louis Vuitton. Il fatto che due dei primi tre marchi appartengano a Lvmh conferma la convinta strategia digital del gruppo guidato da Bernard Arnault, che a settembre ha assunto Ian Rogers da Apple come nuovo “digital chief officer”. I primi tre marchi per approccio digitale al cliente sono invece Balenciaga, Net-a-porter e Saint Laurent: in questo caso, due su tre sono del gruppo Kering. Un altro aspetto evidenziato dal report è che i brand che fanno gestire il proprio e-store a Yoox (come Zegna, Armani e Brunello Cucinelli) sono generalmente i migliori sul fronte dei contatti digitali, ma non brillano su quelli fisici.

Tutti, in ogni caso, sono accomunati dalla stessa, difficile sfida: offrire anche online l’eccellenza del servizio in boutique. Chi invia i propri prodotti in brutti pacchi di cartone avvolti da nastro adesivo è ben lontano dai picchi di stile di chi, come Tod’s e Cartier, offre un curatissimo pacco interno, o i documenti avvolti in buste preziose come fa Burberry. Per migliorare bastano dunque piccole accortezze, come inviare una mail a chi non ha perfezionato l’acquisto chiedendo con discrezione “hai forse dimenticato qualcosa?” (come fa Net-a-porter), oppure conferire un tocco “luxury” alla mail di conferma dell’ordine, come Tiffany & Co.

I margini di miglioramento sono ampi: gli analisti del report stimano che i brand sfruttino meno della metà del loro potenziale sia per quanto riguarda i punti d’ingaggio fisici (46%) sia per quelli digitali (45%): solo cinque su 29, infatti, offrono reso e cambio in negozio, e solo due la possibilità di prenotare la consegna del reso online. Da parte loro, i player puri – Net-a-porter e Mr Porter (di Richemont), Luisaviaroma e MyTheresa (dal 2014 del gruppo Neiman Marcus) – sono ancora nella parte alta della classifica, ma devono fare i conti con brand sempre più aggressivi, che hanno imparato dal passato e godono di una potente visibilità. Attenzione, dunque: i primi potrebbero diventare gli ultimi.

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