Cristiano Silei, Ceo Dainese: “Innovare è più arte che scienza”

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In occasione della 77esima edizione di EICMA Dainese, Cliente di Venistar, ha presentato la sua ultima creatura, frutto di una ricerca incessante durata venticinque anni.

In occasione della 77esima edizione di EICMA, l’Esposizione Internazionale del Ciclo e Motociclo nonché il più importante evento fieristico per l’intero settore delle due ruote, Dainese ha presentato la sua ultima creatura, frutto di una ricerca incessante durata venticinque anni. Smart Jacket è il primo gilet airbag che può essere indossato sopra o sotto qualsiasi giacca o outfit, senza richiedere alcun tipo di connessione con la moto: il suo cervello risiede nell’algoritmo di attivazione e in una centralina elettronica che analizza mille volte al secondo i dati trasmessi da sette sensori, rilevando eventuali situazioni di pericolo e attivando il sistema solo quando necessario. Il cuore di questo gilet intelligente è lo Shield, il sacco airbag che – grazie alla sua struttura con microfilamenti interni – garantisce un gonfiaggio omogeneo e controllato lungo tutta la superficie, creando un vero e proprio scudo che avvolge il corpo e assicura una protezione pari a sette paraschiena, assorbendo gli impatti e non rendendo necessari protettori rigidi.

La digressione sul prodotto è d’obbligo per introdurre un’azienda che è da sempre impegnata nella ricerca di soluzioni d’eccellenza sul fronte sicurezza, con una storia scritta interamente nel segno dell’innovazione.

«Molti nel mondo del business fanno un’associazione tra innovazione e tecnologia o tra innovazione e digital, quando le due cose sono indirettamente correlate. Innovare è una forma mentis, significa pensare oggi alle esigenze che si avranno non tanto l’anno prossimo, quanto tra quindici, vent’anni. In qualche modo è più un’arte che una scienza: attiene alla capacità di leggere i bisogni – nel relativo campo d’applicazione – e la loro evoluzione nel tempo».

A parlare è Cristiano Silei, che – dopo vent’anni di esperienza nel settore motociclistico in Ducati – nell’aprile del 2015 è diventato Amministratore Delegato di Dainese Group. Silei, va detto, non è il classico CEO tutto numeri e strategia. Anzi, non è soltanto quello. Un po’ filosofo, un po’ visionario, parecchio determinato e consapevole del fatto che, oggi, scindere la numeriche di un’azienda dal contesto sociale e culturale in cui tale azienda opera potrebbe rivelarsi un errore fatale.


Cristiano Silei, amministratore delegato di Dainese Group

«Raramente chi utilizza un prodotto sa cosa vorrà… anzi, non lo sa mai. Ford stesso diceva, ‘se avessi chiesto ai consumatori cosa volevano, mi avrebbero risposto una carrozza con più cavalli, non certo una macchina’. Occorre quindi ascoltare non i consumatori, ma ciò che succede nel mondo, i tempi, i modi di pensare e di essere, l’arte, la società, le tecnologie e la cultura in generale: bisogna avere una visione. È una funzione intuitiva, che ha meno a vedere con il pensiero: il pensiero serve dopo, per portare a casa il progetto completo partendo dall’intuizione. Lino Dainese venticinque anni fa – mentre faceva scuba diving – si sente protetto dall’aria grazie al giubbotto ad assetto variabile, e da lì intuisce che anche il motociclista e lo sportivo possono essere protetti tramite un airbag indossabile. Dopo anni di ricerca, è nata la Smart Jacket».

Fondata nel 1972 per mano di Lino Dainese, motociclista allora 24enne, Dainese sin dalla nascita si distingue per la singolare componente pionieristica presente nel suo DNA, che la spinge a voler raggiungere un obiettivo complesso e ambizioso: sostenere al meglio le prodezze di cui è capace il corpo umano per realizzare i sogni concepiti dalla mente umana. Ispirata dunque dall’uomo, l’azienda vicentina ha letteralmente cambiato il corso degli eventi nell’ambito degli sport dinamici con una serie di prodotti rivoluzionari per i motociclisti – la prima tuta tecnica da gara (1975); il paraschiena (1978); lo slider, la protezione rigida del ginocchio (1980); la gobba aerodinamica sulla schiena (1988); i guanti con inserti rigidi di carbonio (1995); il sistema airbag D-Air (2000) – che l’ha portata a espandersi fino ad abbracciare il mondo delle biciclette, dello sci, dell’equitazione e, in ultimo, della vela.

Nel 2007 l’azienda ha coronato il sogno originale del suo fondatore – «Protetti dalla testa ai piedi» – con l’acquisizione della AGV, società italiana rinomata a livello mondiale per la produzione di caschi per motociclisti; nel 2015, poi, la Investcorp (società leader a livello mondiale che fornisce e gestisce prodotti per investimenti alternativi) ne ha rilevato una quota pari all’80%, permettendole di promuovere ulteriormente la costante espansione a livello internazionale e l’innovazione di prodotto.


La sede di Dainese a Vicenza

Studiare soluzioni all’avanguardia ed esercitare il potere dell’intuizione è però un esercizio difficile, che molte aziende tendono a non percorrere perché spaventate e poco propense a rischiare:

«esistono realtà che hanno sviluppato una simile cultura e riescono a essere continuamente innovative, così come altre che non lo sono mai. È una qualità rara, l’intuizione, e non presuppone un risultato immediato: il ritorno su questo genere di investimento non è di breve periodo, perché le vere innovazioni richiedono lunghe fasi di gestazione e sviluppo. Il che è contrario all’incentivazione di breve – se non di brevissimo – alla quale chi gestisce le aziende è normalmente sottoposto», continua Silei.

«Quindi ci vuole una combinazione non comune tra sapere intuire e vedere il futuro più o meno correttamente e soprattutto saper bilanciare delle intuizioni sul futuro e degli investimenti rivolti a concretizzare un’idea con dei risultati che devono essere consegnati ai propri azionisti, ai propri dipendenti e alla propria azienda anno dopo anno. Gli imprenditori sono di sicuro più incentivati a innovare sul lungo periodo rispetto ai manager, perché appunto non hanno certezze a cui aggrapparsi».

Silei solleva un tema già affrontato da Stigliano e Kotler nella loro guida Retail 4.0. 10 regole per l’Era Digitale: la volontà di rimanere in una comfort zone che assicura risultati immediati e che impedisce alle aziende di abbracciare pienamente l’innovazione.

«È un po’ la malattia degli investitori e del sistema, ma alla fine si tratta di una questione di maturità della coscienza: chi fa il mio mestiere non è obbligato a pensare a breve, dipende da quello che una persona ritiene essere il proprio ruolo non solo aziendale, bensì come membro di questa umanità. Se il ruolo consiste nel portare dei profitti a breve perché si ha il contratto in scadenza allora benissimo, è comprensibile e ovvio non prestare attenzione all’innovazione di lungo periodo. Ma se si vede il proprio ruolo come un’espressione del proprio potenziale umano, al di là della durata del contratto, allora occorre lasciare qualcosa di tangibile all’organizzazione, ai clienti, all’ecosistema di cui si fa parte. Idealmente occorre saper ragionare sia sull’immediato che proiettandosi nel futuro, e tutto parte dalla coscienza, ossia da quanto un individuo è consapevole del ruolo che ricopre e della sua umanità».

Troppo semplice però incolpare l’Italia, la burocrazia, la politica e la nostra tipica attitudine vittimista di responsabilità che – secondo il CEO di Dainese – ricadono soltanto sul singolo individuo.

«Credo che noi italiani siamo portatori di una storia, di un patrimonio e di una ricchezza ineguagliabili, ma allo stesso tempo siamo pure vittime e carnefici di un’ipnosi collettiva al ribasso, di una svalutazione perenne di ciò che rappresentiamo come Paese e come cultura. I mezzi di comunicazione e la classe politica con cadenza regolare parlano male dell’Italia e di quello che gli italiani non sono in grado di esprimere: il ruolo mio e di chi fa un mestiere come il mio è invece di portare esempi concreti di successi globali – e nel nostro Paese ce ne sono, ce ne sono tantissimi. Per uscire dall’impasse bisogna dire basta, basta aspettarsi che siano gli altri a fare le cose per noi o a cambiare, perché è un atteggiamento infantile che non ci fa arrivare da nessuna parte. Dobbiamo essere noi a mutare per primi, a portare una luce e un contributo nella nostra area di influenza: i contributi si sommeranno, più luci verranno accese e il Paese verrà illuminato. In Dainese siamo soddisfatti perché stiamo lavorando attivamente in tale direzione, per costruire davvero qualcosa: un’azienda nata per fare innovazione oggi crea cultura e cresce (250 assunzioni in quattro anni e un fatturato record nel 2018, pari a 187,4 milioni di euro, Ndr.), dando il suo apporto all’Italia senza guardare ciò che fanno gli altri o aspettandosi che sia la politica o Confindustria a dirle come si risolvono i problemi».

Negli anni, va da sé, i consumatori si sono evoluti, e a fronte di un cliente «tipicamente conservatore: una volta che ha ‘sposato’ un brand, sia di moto che di accessori, è restio a lasciarlo», Silei sottolinea come la sfida non sia tanto interpretare le esigenze di Millennial o Generazione Z, quanto cogliere uno shift trasversale che interessa più fasce d’età.

«Anche noi della Generazione X siamo passati da ribelli e individualisti nella fase post-adolescenziale a genitori iper-protettivi che trovano nella famiglia la loro realizzazione più importante: cresciuti come bambini poco seguiti, siamo diventati molto attenti alle necessità dei nostri figli. Per quanto riguarda i nostri consumatori esistono dei cambiamenti strutturali: il trend più forte è una coscienza del bisogno di protezione e sicurezza, che se in passato era nullo oggi invece è presente in qualsiasi sport dinamico con una componente di velocità e di rischio. Il nostro pubblico ricerca attivamente la sicurezza, e in tal senso la Smart Jacket è un qualcosa che parla a tutti: dall’adolescente che si approccia al mondo delle due ruote all’anziano che va a comprare il giornale in scooter. La Smart Jacket è una tecnologia friendly, facile, semplice e intuitiva: lo stesso prodotto lanciato quindici anni fa sarebbe stato guardato con parecchia sufficienza in una fiera come l’EICMA, perché i tempi non erano maturi».

I valori di coraggio, affidabilità, leadership e stile su cui si fonda il marchio trovano la loro massima espressione nella partnership tra la European Space Agency (ESA) e il Dainese Science and Research Center, che ha dato vita a SkinSuit, una speciale tuta studiata per essere indossata a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.


L’astronauta Thomas Pesquet con la tuta SkinSuit sviluppata da Dainese ed Esa per la Stazione spaziale Internazionale

Utilizzata durante la missione spaziale IRISS del settembre 2015 dall’astronauta danese Andreas Mogensen e durante la missione Proxima compiuta da Thomas Pesquet nel novembre 2016, SkinSuit è in grado di esercitare sul corpo degli astronauti – che operano in assenza di gravità – una pressione crescente in direzione testa-piedi, simulando il peso normalmente imposto dalla massa corporea sulla Terra.

«Siamo al servizio di chi ha bisogno di fare ricerca per spingere più in là il potenziale umano», spiega Silei, «non a caso collaboriamo con il Massachusetts Institute of Technology per lo sviluppo della tuta per gli astronauti che andranno in missione su Marte e con l’Ente Spaziale Europeo per risolvere il problema di perdita di massa e densità ossea in assenza di gravità. Continuiamo a lavorare a entrambi i progetti e altri ne verranno, in quanto esperti dei bisogni del corpo umano in condizioni estreme».

Dunque motociclismo, bici, sci, equitazione, vela e infine lo spazio: nessuna azienda – italiana ma pure internazionale – sarebbe stata in grado di raggiungere traguardi simili in discipline così diverse restando con le mani in mano o lamentandosi di fronte alle avversità, come conferma Silei.

«Ognuno deve progredire nella sua missione: quando avremo acceso abbastanza luci non ci sarà più buio e nessuno potrà più nascondersi nell’ombra. Non dobbiamo aspettare che siano gli altri a farlo al posto nostro o continuare ad auto-ipnotizzarci negativamente e piangerci addosso, non è davvero da noi».

E chissà che un messaggio del genere non serva a scuotere finalmente le coscienze, risvegliandoci dal torpore in cui da troppo tempo siamo sprofondati.

(di Marianna Tognini, Redazione Business Insider)