Digital Transformation e PMI: Houston, abbiamo un problema

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Per le aziende italiane c’è la consapevolezza che è necessario un cambiamento culturale, di modelli di business e di metodi di lavoro, anche se ancora non si coglie ancora la potenzialità del digitale sia in ambito B2B che B2C.

Piccole e medie imprese italiane in stato confusionale. Non riescono a fare digital transformation per mancanza di competenze (il 43%), ma nel 45% dei casi fanno formazione una o zero volte all’anno e nel 38% gli investimenti in questa direzione si fermano a percentuali del fatturato a cifra singola. Bastano questi tre numeri per dire che abbiamo un problema e che non vogliamo risolverlo.

Di mio però non sono pessimista e credo che qualcosa nel panorama delle nostre PMI si stia muovendo, basta paragonare i dati della ricerca La digital transformation e l’innovazione tecnologica delle PMI italiane di quest’anno con quella del 2017 per dire che un passo in avanti c’è stato.I ricercatori del master in Digital Transformation per il Made in Italy di Talent Garden hanno indagato un campione di oltre 500 aziende, in un lavoro che la nostra Innovation School porta avanti per monitorare le trasformazioni in atto e contribuire ai cambiamenti necessari.

Il primo dato positivo arriva dalla comprensione del significato intrinseco di digital transformation, che viene giustamente scollegato dalla mera implementazione di piattaforme tecnologiche e a cui si dà valore per generare vantaggio competitivo (62%), aumentare la produttività (49%) e migliorare la customer experience (48%). C’è insomma consapevolezza che la strada è quella di un cambiamento culturale, di modelli di business, di metodi di lavoro, anche se non si coglie ancora la possibilità, a mio avviso invece importante, di internazionalizzazione: solo il 19% dei rispondenti la collega al digitale, quando invece è proprio tramite operazioni di semplificazione e di promozione digitale che si possono conquistare clienti sui mercati internazionali, sia in ambito business to consumer che business to business.

La seconda buona notizia riguarda le aziende più giovani: più un’azienda è giovane, più investe in digitale, col 53% degli intervistati tra le imprese di nuova costituzione che considerano l’investimento in innovazione come centrale. Questo sottolinea il ruolo centrale delle competenze, quelle digital skills che ancora mancano e su cui si investe troppo poco. Proviamo a leggere la buona notizia anche qui, però: una PMI su quattro crede nel lifelong learning e organizza percorsi formativi in maniera continuativa.

Tra le notizie negative, quel 9% di imprese – una su dieci – che non investono in digital transformation per mancanza di interesse, come se fosse qualcosa che in fondo non le tocca. Le tocca invece, rischiando di eliminarle dal mercato.

L’altro dato da evidenziare è la resistenza del management (24%) e l’incertezza del ritorno sull’investimento (25%): nel primo caso, di nuovo, si tratta di un fatto culturale che va combattuto, con decisione, attraverso informazione e formazione. Ed è così anche nel secondo caso: se non è chiaro che innovare significa rischiare, e quindi non avere certezze di ROI, si finisce per fare finta innovazione – conservativa – che può fare più danni che altro.

Insomma, il messaggio è chiaro: viviamo un periodo di cambiamento continuo e spinto, il digitale non è qualcosa di non considerabile, è la strada da percorrere, ma non si può pensare sia in discesa e senza rischi. Si deve invece sviluppare una cultura del fallimento e considerare gli errori come learning point su cui sviluppare strategie sempre più rapide e innovative. Qui ecco una terza buona notizia: inizia a esserci una discreta conoscenza delle tecnologie a disposizione e un interesse concreto nell’utilizzarle. Internet of things (33%), Machine learning (28%) e Blockchain (27%) non son più degli sconosciuti.

Bianchi e neri, insomma, punti dolenti e lampi di luce. Sembra che finalmente la trasformazione digitale sia ritenuta importante a livello teorico, c’è la comprensione che è ciò che si deve fare, manca ancora quella spinta all’azione che superi i blocchi culturali che stanno alla base del mancato sviluppo delle nostre PMI. Non dimentichiamoci, lo sappiamo bene, che le piccole e medie imprese vivono un continuo conflitto tra cambi generazionali, distanze tra imprenditori e manager, approcci troppo spesso improvvisati e non studiati. È necessario andare oltre, valorizzare il patrimonio di conoscenza e competenza e non solo quello di intuito ed estemporaneità che ha fatto la storia del nostro tessuto imprenditoriale.

Cambiamo quel dato da cui siamo partiti, facciamo sì che il 100% delle PMI rimetta imprenditori, manager e tutte le proprie risorse sui banchi di scuola. In pochi anni potremmo stupirci di quello che, grazie alla comprensione del digitale, le nostre PMI possono fare.

(Di Alessandro Rimassa, Direttore di Talent Garden Innovation School, Redazione Econopoly.ilsole24ore.com)

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