Moda 4.0: se non ora, quando?

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La quarta rivoluzione industriale non aspetta. Il momento di raccogliere la sfida del Piano Industriale 4.0 è adesso. Qual è l'approccio giusto per ingaggiare i consumatori iperconnessi di oggi?

La quarta rivoluzione industriale non aspetta. Il momento di raccogliere la sfida del Piano Industriale 4.0 è adesso, anche per le piccole medie imprese, chiamate a riorganizzare modelli, processi e governance aziendali. Ma quali sono gli ostacoli al cambiamento? Quale l'approccio giusto per un'evoluzione reale, capace di ingaggiare i consumatori iperconnessi di oggi?

L'ultimo report della Commissione Europea sul Desi (Digital Economy and Society Index), l'indice che misura il percorso dei Paesi verso un'economia e una società digitalizzate, è stao impietoso: nel 2016 l'Italia si è classificata al 25esimo posto su 28 nazioni riguardo a connettività e competenze, evidenziando solo un miglioramento nell'utilizzo del commercio elettronico. Un ritardo cronico che tocca soprattutto le realtà industriali dalle dimensioni più contenute, spesso ancora all'inizio nel processo di alfabetizzazione digitale e riluttanti a dismettere procedure e schemi collaudati per lasciarsi contaminare dalla cosiddetta digital revolution. "Rivoluzione significa cambiamento e i cambiamenti sono nella lista delle cose che generano maggior timore nell'ambito delle scelte aziendali - commenta Maurizio Alberti, managing director della tech company per il digital marketing Mapp-. Tranne alcune eccezioni, solitamente la leva che spinge a interventi significativi nelle strategie imprenditoriali è la disperazione, la percezione che l'innovazione sia una delle ultime azioni possibili per salvaguardare la continuità dell'azienda stessa". Ma l'ansia da prestazione tecnologica, generata frequentemente da poca disinvoltura high-tech e da una sfasatura tra età anagrafica ed età digitale, spesso non è buona consigliera in una logica di evoluzione reale, capace di incidere sull'impalcatura gestionale. 

CAMBIARE PER NON MORIRE: E' IL FATTORE UMANO LA GRANDE SFIDA. 

Insomma, la mission digitale non dovrebbe rimanere appannaggio della business unit deputata all'online, ma contagiare l'intero ecosistema aziendale, raggiungendo la stanza dei bottoni, per poi andare a permeare tutti i reparti. Alessio Barbati, chief e-commerce officer di Triboo Digitale, e-commerce company del gruppo Triboo - parla di uno "scollamento fra top management, spesso ancora carente in fatto di cultura digitale, e il digital chief officer, che il più delle volte si trova a dover prendere decisioni fondamentali per il futuro della realtà dove opera". Risultato, Oggi c'è più consapevolezza sul ruolo dell'online e vengono erogate più risorse - osserva -. Ma sarebbe bello se questi investimenti facessero parte di un progetto unitario, dove chi è ai vertici si mette veramente in gioco". Non basta introdurre tecnologia - sintetizza Barbati -. Occorre studiare, capire, confrontarsi direttamente con i fornitori di servizi digital, occuparsene in prima persona. Non bisogna demandare. E' troppo importante". Sì, perchè il "darwinismo digitale" non aspetta.

Urgono strategie che resettino gli organigrammi e la "filiera" aziendale per allinearli alla rivoluzione in corso, tenendo presente che, come sottolinea Roberto Da Re, presidente di Venistar (specializzata nello sviluppo, fornitura e implementazione di soluzioni innovative per la gestione del fashion & luxury in ambito retail, wholesale e distribution), "è più facile cambiare i sistemi che l'organizzazione". "Occorre una fondazione digitale dove innestare tutti i progetti - evidenzia Da Re - con una regia e una logica di ampio respiro, in grado di abbattere i silos e intaccare le infrastrutture". Ben venga dunque l'internazionalizzazione dei processi e delle funzioni legate a e-commerce e marketing online, ma integrati in una visione a 360 gradi, con il coinvolgimento fattivo delle figure apicali della compagine aziendale.

"Da noi di Space 2000 non è stato un percorso complesso, grazie ad una direzione giovane, competente, che ha dato l'imprinting a una progressiva digitalizzazione", racconta la digital department manager dell'azienda di abbigliamento, Maria Beatrice Falcione. Dopo aver lanciato l'e-shop con un full service provider, con processi gestiti quasi totalmente in outsourcing, la realtà torinese a capo di brand come Bomboogie ha riportato in house la logistica, le spedizioni, il customer marketing, dipendendo dall'esterno solo per la piattaforma tecnologica. " Siamo un team di cinque persone - spiega Falcione - ma sono attive sinergie importanti con tutto l'organigramma aziendale. La digital transformation è tangibile, anche per l'esistenza di tante figure ibride, trait d'union fra fisico e virtuale". Anche da Cà da Mosto, azienda veneta a capo di brand come Seventy, il processo di internazionalizzazione è partito da circa due anni, dopo tre-quattro anni di sperimentazione con soluzioni affidate in outsourcing a specialisti del settore: "Abbiamo riportato in casa la logistica, le spedizioni, il customer care - informa il digital chief officer Nicolas Zuin -. Per il momento l'e-commerce incide sul fatturato di Seventy per l'1,5-2%, ma puntiamo a crescere, con investimenti su re-marketing e retargeting, in piena sintonia con il top management". Del resto, la sfida 4.0 non rappresenta solo un mero input alla modernizzazione, ma una soglia obbligata da superare, se si vuole rispondere a tono ai consumatori volubili e iperconnessi di oggi. Perseguire logiche multicanale con l'integrazione di online e offline, creando percorsi ed esperienze uniformi ed efficaci lungo tutto il loro processo d'acquisto, è la conditio sine qua non per ingaggiarli e convincerli. Non bastano un ottimo prodotto, un buon rapporto qualità-prezzo, lo storytelling. Oggi serve l'engagement dell'"everywhere shopper" che surfa da un device all'altro e non distingue tra dispositivo fisso e mobile, tanto meno tra fisico e digitale. Capire chi si ha di fronte, seguirlo con contatti ad personam e riuscire a mantenere il dialogo con lui diventa prioritario. 

Empatia con il singolo consumatore e interventi tailor made: queste sembrano essere le nuove regole del marketing. "Di ogni cliente non basta sapere chi è, dove abita, ma dobbiamo conoscere anche cosa e dove ha comprato, cosa ha apprezzato, di cosa si è lamentato. Dobbiamo risalire a tutta la sua storia transazionale, online e offline - aggiunge Roberto Da Re di Venistar -. Le aziende che stanno portando avanti strategie one-to-one con i consumatori, cavalcando la potenza delle nuove tecnologie, sono ancora poche. E' vero, i risultati spesso non sono immediati, ma a lungo termine diventano eclatanti".

(di Angela Tovazzi, Redazione FASHION Magazine, N° 6 del 10.05.2017)
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